“Biddamanna, antropologia di un giudice” di edizioniPiagge, la recensione

7 Ago 2023 | edizioniPiagge, In evidenza

Dopo Gita al faro Maria Pagnini è tornata a pubblicare. Lo fa con il suo stile inconfondibile e ci sorprende con la biografia di Beniamino Deidda, un nome noto non solo a Firenze per l’ impegno nel lavoro di giudice, riconosciuto e stimato da tutti. Già in pensione ha partecipato alla Scuola Superiore della Magistratura di Scandicci con passione ed entusiasmo. È sempre disponibile con grande generosità a chi gli chiede un intervento, un aiuto.

Il libro è diviso in due parti in maniera netta. La prima, dedicata all’infanzia di Deidda, si svolge a Villagrande (Biddamanna) Strisaili, un paesino della Sardegna nell’Ogliastra, prima e durante la guerra. Il titolo scelto è “Antropologia di un giudice”, con ragione. Parlare di questo bambino di paese significa parlare di modi di vivere che oggi non ci sono più, di luoghi oggi irriconoscibili. Anche la Sardegna più arretrata e ferma al mondo agropastorale da secoli ha ceduto, neppure tanto lentamente.

Questa parte si legge tutta d’un fiato. L’autrice ci fa capire bene da dove vengono quel rigore, quella serietà che accompagnano il giudice fin da quando giovanissimo lascia l’isola. Si respira l’aria di questo paese: senza accorgercene anche noi sentiamo i profumi della cucina di zia Antonietta, stiamo affacciati alla finestra a vedere la vita della strada, il lavoro del ciabattino, l’arrivo della corriera, il banditore-postino… Le lunghe giornate di un bimbo sveglio che per non annoiarsi viene mandato a scuola a 4 anni. La maestra lo accoglie a braccia aperte perché ha solo il figlio del medico e dell’ingegnere. Gli altri bambini servono in campagna, a 5 anni sono già capaci di controllare da soli il gregge.

Indimenticabile la figura della nonna: le sue idee avevano “una specie di cristallo dentro. Riflettevano luce”. Pur appartenendo a una famiglia borghese, non dimentica chi non ha niente, arrivando a comprendere la violenza di certi atti in una società così povera. Una “vita fatta di riti e di senso della comunità”.

Questo è lo stile di Maria, che rende animate le pagine e ti fa entrare dentro ciò che scrive. Resta un mistero come abbia convinto il giudice Deidda, un “vero” sardo, certo non incline a smancerie, a parlare di momenti della sua infanzia e adolescenza. Maria non è sarda, ma appartiene per nascita a un modo non poi così lontano da quello: il mondo contadino, dove certi gesti identici da millenni sono divenuti sacri. Soprattutto non si parla per dar “fiato alle tonsille”, le parole sono misurate, non si sprecano. È così che ogni parola scritta diventa essenziale. Forse in questo stile di vita, che è cultura, dove i sentimenti si dimostrano con i fatti, l’intervistatrice e l’intervistato si sono riconosciuti. Ma la risposta arriva soprattutto nell’ultima pagina del libro in cui Maria dà ragione dell’urgenza, che li ha colti di sorpresa, di portare a termine questa biografia: la malattia li ha attraversati entrambi.

Nella seconda parte del libro viene descritta la carriera di giudice di Deidda, una volta giunto a Firenze, fino a diventare Procuratore Generale della Toscana e dove, talvolta, ha pagato di persona per tener fede a quello in cui crede, che poi, come un faro, è la Costituzione. Si parla anche del suo incontro con i preti operai, con don Bruno Borghi, che lo avvicina ai problemi dei disabili; dell’esperienza del doposcuola a Calenzano sotto l’influenza del pensiero di don Lorenzo Milani; dell’importanza di Magistratura Democratica, di cui è uno dei fondatori…

Ma perché l’autrice si è imbarcata a scrivere di un noto personaggio pubblico, che non ha mai tempo sempre impegnato com’è, e dove le parole sono state carpite perché non ha mai voglia di raccontare a nessuno particolari della sua vita? Il suo è un vero debito di riconoscenza verso un giudice che tanto si è speso nei processi sulle morti sul lavoro, “ci sono di mezzo la vita e l’incolumità delle persone”. Per capire la gratitudine di Maria dobbiamo sapere che è rimasta orfana bambina, il babbo è morto proprio in un incidente sul lavoro. E lei sa scrivere e quindi questo ha fatto: ha parlato di un giudice che non ha lasciato che queste morti siano dimenticate. E dio solo sa quanto si senta oggi la mancanza di giudici così!

In questa parte il registro di scrittura cambia, ma non diventa mai un modo pedissequo di ripercorrere gli studi e la carriera di Deidda. Anche qui l’autrice riesce a farci vivere la passione in tutte le tappe lavorative fino a oggi. Asserisce il giudice: “Bisogna stare attenti con i bambini che tendono a riprodurre quello che vivono. Restano soltanto gli esempi, i gesti. In Sardegna ho vissuto una cultura selvaggia, però piena di momenti di solidarietà, l’ho imparata lì la restituzione, succede tutto nei primi anni di vita”.

Biddamanna. Antropologia di un giudice, Edizioni Le Piagge, 2023.

Gabriella Nocentini

Exif_JPEG_420

Share This